Inizia l’era dell’open data per le pubbliche amministrazioni

Inizia l’era dell’open data per le pubbliche amministrazioni

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Il decreto legislativo, approvato definitivamente dal governo il 16 maggio 2016, correttivo del precedente decreto legislativo 33/2013, rivoluziona la trasparenza amministrativa.

Gli enti pubblici sono tenuti, infatti, a fornire dati e documenti a chiunque e senza bisogno di motivazione.

È il nuovo accesso civico, che sale sul ring per confrontarsi con il diritto alla riservatezza dei cittadini.

E dove c’è accesso civico c’è possibilità di riutilizzo dei dati.

Si entra nella fase dei «dati aperti», anche se non mancano voci critiche che richiamano a maggiore attenzione alla privacy.

Ma vediamo che cosa cambia con le nuove regole…

 

Accessibilità totale.

Lo scopo della trasparenza è soprattutto di mettere a disposizione dei privati il patrimonio conoscitivo detenuto dagli enti pubblici.

L’immensa mole di dati acquisiti, censiti, conservati ed elaborati diventano un patrimonio non più riservato all’interesse pubblico.

Il decreto correttivo, modificando l’articolo 2 del decreto 33/2013, afferma che la trasparenza amministrativa va intesa come accessibilità totale dei dati e dei documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa. Non a caso si estende il catalogo delle informazioni che possono essere ottenute dall’ente pubblico ed estende la possibilità di riutilizzo.

 

Accesso civico. Il nocciolo duro del decreto correttivo è l’accesso civico e cioè l’istituto attraverso il quale si rendono disponibili atti e informazioni.

Se prima, mediante l’accesso civico (istituito dalle norme sulla trasparenza) si poteva solo fare un sollecito per vedere pubblicato un atto o un documento che comunque la p.a. aveva l’obbligo di pubblicare, ora, con il decreto correttivo, l’accesso civico riguarda tutti i dati e documenti detenuti, pur se con alcuni limiti.

Si badi al fatto che si possono chiedere dati e documenti. Il doppio oggetto dell’accesso civico (dati e documenti) ha un preciso significato.

Un dato non necessariamente è stato usato in un atto o in un provvedimento. Se si possono chiedere anche solo i dati, allora diventa disponibile l’informazione in sé.

Questo significa apertura dei data base dell’amministrazione ad uso dei privati.

Il problema è se questo nuovo diritto di accesso potrà essere utilizzato per scopi di natura imprenditoriale. A questo proposito da un lato il decreto afferma che l’accesso è finalizzato alla generica tutela dei cittadini e dall’altro che non è richiesta nessuna motivazione. A questo si deve aggiungere che sempre il decreto correttivo prevede che non bisogna essere titolari di alcuna particolare legittimazione attiva: chiunque può chiedere l’accesso civico.

Sono tutti indici, questi, che abilitano a un uso legittimo, anche economico, del patrimonio conoscitivo delle pubbliche amministrazioni.

D’altra parte la tutela del cittadino significa anche possibilità per il cittadino di tutelare il proprio diritto d’impresa o al lavoro, ad esempio professionale.

Si pensi alla quantità di analisi statistiche in campo ambientale, di governo del territorio, di rete commerciale, di composizione della popolazione e così via.

Naturalmente questo pone un problema di protezione dei dati personali.

 

Rapporto con la privacy.

Il problema della riservatezza viene risolto, almeno sulla carta, a posteriori.

Le preoccupazioni formulate dal Garante della privacy sono state formulate in un parere (del 3 marzo 2016 n. 92) con molte richieste di modifiche, solo poche accolte.

Eppure la disciplina della tutela è rimasta basata sull’attivazione del singolo.

Se il singolo prenderà l’iniziativa di opporre la sua riservatezza, ci sarà da discutere sull’accoglibilità della richiesta di accesso civico.

Il procedimento di questo tipo di accesso prevede, infatti, che per dati e documenti (diversi da quelli a pubblicazione obbligatoria), il controinteressato possa dire la sua per tentare di tenere sotto chiave le informazioni che lo riguardano. Ma si tratta, comunque, di una tutela a posteriori e non di una restrizione a monte.

Rimane il fatto che la tutela della privacy è affidata all’iniziativa del singolo e alla valutazione (magari discordante da ente a ente) delle varie p.a. destinatarie della richiesta di accesso civico.

Un rischio, questo, solo attenuato dal fatto che il decreto correttivo assegna all’Anac, autorità anticorruzione, d’intesa con il Garante della privacy, il compito di elaborare linee guida per aiutare a discernere in quali casi la protezione dei dati personali possa sbarrare la strada all’accesso civico.